Un Grand Tour può diventare un’odissea? Ebbene sì, alla fine del Settecento, al figlio di un Barone un po’ svagato, più impegnato in riforme e codicilli che nell’educazione del figlio, demandata peraltro ad una madre che ha coniato un simpatico nuovo idioma ispano-napoletano, in Italia poteva capitare anche questo. Ecco dunque che Francesco Antonio di Santamaria di Caloria, del Regno di Napoli, si mette in cammino, armato di lettere commendatizie e di belle speranze, in compagnia del suo fedele servitore. Non sa ancora che il suo viaggio sarà tutt’altro che un viaggio di piacere, le cui vicende trovano la loro ideale definizione nel termine di “peripezie”, perché tale è la somma di eventi imprevisti e sovvertimenti di sorte non solo imprevisti, ma anche imprevedibili, in cui incorre suo malgrado. Un filo sottilissimo tra la vita e la morte, un continuo stato di bilico sull’orlo del precipizio della mente.
In quello che in definitiva diventa un vero e proprio percorso di iniziazione, Francesco Antonio si trova a dover affrontare una serie di esperienze, e nel narrarcele in prima persona, recuperandole dalla sua memoria, sembra che egli le riviva direttamente, e noi con lui. Le alterne vicende cui fa riferimento il sottotitolo dell’opera, non sono altro che difficoltà ed ostacoli che mettono alla prova il coraggio e le conoscenze del ragazzo per restituirlo fortificato e maturato.
Romanzo di avventure e di formazione nel senso più concreto del termine, per nulla romantico, fa della crudezza e della pericolosità, lo specchio smaliziato dei tempi. È anche una somma di generi: si va da un inizio picaresco, indotto anche da contaminazioni spagnole, all’influsso orientaleggiante. Tra il sogno, le visioni allucinatorie, il forte fascino esercitato da sempre dalle antiche civiltà, affiorano netti e precisi i riferimenti all’inquietante periodo storico della Santa Inquisizione spadroneggiante in Italia.
Veramente imponente l’impalcatura approntata a fare da sfondo, l’estensione spaziale delle vicende, le realtà e gli scenari che si succedono continuamente e che dimostrano una grande versatilità e conoscenza delle peculiarità di quel periodo storico: si passa dalle scorrerie corsare nei mari del Mediterraneo al brigantaggio così frequente nelle regioni dell’Italia meridionale, da scampoli di civiltà egizia sopravvissuta nel deserto africano a incursioni nelle mercantili città dei Balcani fin giù alla penisola ellenica.
E’ singolare come, accanto ad un contesto così attentamente e precisamente documentato e specificatamente datato (era l’autunno del 1770), il centro di storia venga posto in un’immaginaria città Dorantia, La luminosa, dove Francesco Antonio incontra subito la corruzione, soprattutto in quelle personalità ecclesiastiche che avrebbero dovuto garantire sul suo soggiorno, e inoltre viene ricattato dal comandante delle guardie del Santo Uffizio e costretto da questi, se vuole liberare il suo servitore che lo accompagnava nel viaggio e tradotto nelle prigioni a condizioni disumane, a rincorrere un misterioso mercante d’arte che ha sottratto un dipinto che nasconde importanti segreti. Gli viene però affiancato uno sbirro che Francesco Antonio scoprirà suo compagno inseparabile. Hanno così inizio le peregrinazioni rocambolesche e cruente, che metteranno a dura prova la salute fisica e mentale del giovane barone.
Importante, e quasi incredibile, il lavoro di ricerca filologica fatto con la ricostruzione di uno stile perfettamente settecentesco, che conferisce all’opera valore di documento storico. Ammirevole risultato di godibile e insieme del tutto comprensibile lettura. Inizialmente non capacitandomi pensavo che un qualche documento storico reale avesse fatto da canovaccio all’imbastitura dell’opera (anche stilistica). Non so quanto tempo ho passato a scovare tra i nomi antichi delle città la famosa Dorantia, la luminosa…
Ma quando ho saputo che l’espediente del manoscritto era di manzoniana memoria e finzione narrativa per avvalorare la storia, lo stupore è divenuto ammirazione per il risultato ottimamente conseguito dall’autore con le sue sole forze. Lavoro poi curato fino all’ultimo perché le osservazioni demandate al Pisani, sono la voce fuori campo cui l’autore affida il compito di commentare e dare legittimità alla storia contenuta nel materiale rinvenuto.
Sono due i titoli di romanzi a cui mi hanno ricondotto le avventure del Barone dell’Alba. Anche se con un punto di vista rovesciato e una versione molto più brutale, le lettere di Lord Chesterfield al figlio si basano comunque sul presupposto che la formazione di un giovane passa attraverso esperienze forti in tutti i campi che ne dovrebbero temprare il fisico oltre che il carattere. Almeno Lord Chesterfield proprio in occasione della partenza del figlio per il Grand Tour, elenca uno strepitoso catalogo di ammonimenti sulle compagnie da evitare (i locali equivoci, il gioco, le donne di facili costumi), istruzioni precise da seguire (per esempio sulla valutazione e l’acquisto di importanti opere d’arte del passato), ma soprattutto esortazioni a imitare e far propri gli attributi precipui e irrinunciabili della bienséance. Un’educazione mondana raffinatissima e insieme spregiudicata – non esclusa l’arte della seduzione e della galanteria – che non mancò di scandalizzare i puritani e i pedanti.
D’altro canto, la ricerca di quello sguardo catalizzante e raffigurato nel dipinto rievoca la ricerca di quel volto luminoso che innesca L’educazione sentimentale di Flaubert: Frédéric Moreau, uno studente liceale di 18 anni, scorge, sul battello che lo riconduce alla sua città natale di Nogent sur Marne, la signora Arnoux, moglie di Jacques Arnoux, uno speculatore dilettante. Scambia con lei alcune parole e basta uno sguardo, ed è subito colpo di fulmine. Questo momento lo segnerà per sempre. La passione per questa donna, amore vero ma di testa, non troverà mai il suo esito naturale.
“Fu come un’apparizione. Lei sedeva, in mezzo alla panchina, sola; o così gli parve, abbacinato com’era dalla forte luminosità dello sguardo di lei. Nel mentre passava lei alzò la testa, lui inclinò involontariamente le spalle, e, quando si fu messo più lontano, dallo stesso lato, la guardò”.
Credo che il visionario Barone dell’Alba abbia tutte le caratteristiche adatte per stare in mezzo ad una compagnia del genere.